Un giovane, poco più che ventenne, veniva accusato dalla sua convivente di aver tentato di ucciderla, dopo una violenta lite, gettandola dal balcone della loro abitazione. La stessa riferiva tale dinamica dell’accaduto in più occasioni: a seguito dell’intervento dei primi soccorritori, in ospedale, ove veniva sentita poco dopo il ricovero, ed in sede di incidente probatorio.
L’attività difensiva si orientava pertanto nella ricerca di tutti quegli elementi obiettivi e soggettivi che potessero minare la credibilità della giovane donna, le cui dichiarazioni rappresentavano il fulcro portante del teorema accusatorio.
Altresì importante si rivelava la scelta del rito processuale onde giovarsi dei benefici di un rito premiale che importasse una sensibile riduzione della pena nella denegata ipotesi di condanna. Si optava pertanto per il rito abbreviato che avrebbe comportando la definizione del processo evitando lo strepitus fori ed il beneficio della riduzione di un terzo della pena, preservando la possibilità dell’appello. Tale scelta, infatti, risultava condizionata dal sostanziale beneficio della riduzione di un terzo della pena che, vista l’elevata sanzione edittale che tale grave reato comporta, rappresentava un irrinunciabile vantaggio.
La richiesta di tale rito, che importa l’utilizzabilità in toto degli atti d’indagine difensiva ai fini del decidere, veniva altresì condizionata all’esame di due testimonianze significative. Si procedeva per altro ad attività di indagine difensiva che permetteva di raccogliere dichiarazioni di persone informate sui fatti che facevano luce su aspetti importanti della vicenda.
Le contraddizioni interne alle dichiarazioni rese dalla parte lesa, nonché l’accertato grado di ebbrezza in capo alla stessa la notte della vicenda, avevano l’effetto di minare la credibilità dell’accusatrice.
Da ultimo, le tracce ematiche rinvenute sul posto, sia all’interno della stanza che sul balcone, si rivelavano in contrasto con la dinamica del tentato omicidio così come riferita dalla giovane donna.
La lunga discussione in Camera di Consiglio permetteva di chiarire molti aspetti oscuri ed ambigui della vicenda così da far pervenire il Giudice al pieno convincimento dell’innocenza dell’imputato che veniva quindi assolto dal reato ascrittogli.
Risultava così provato il sol fatto della lite per il quale si raggiungeva poi una bonaria composizione con remissione di querela da parte della ex convivente in sede di appello e conseguente definitiva risoluzione dell’intera vicenda in capo all’assistita.